Libia, 7 ottobre 1970. Quarantatrè anni fa. Gli italiani
vengono cacciati da Gheddafi. Quarantamila persone sono espulse dalla
mattina alla sera, dichiarate «indesiderate» dal nuovo governo
rivoluzionario che ha preso il potere un anno prima. I loro beni,
confiscati. Uno choc per tanta brava gente che nulla aveva a che fare
con le vicende coloniali e che si considerava tripolina a tutti gli
effetti.
Nella rabbia del momento, tanti accusarono il governo
dell’epoca, e soprattutto il ministro degli Esteri Aldo Moro, di non
avere capito gli eventi e di non essere intervenuto. Ma non è così.
Dagli archivi emergono documenti che raccontano di una trattativa
segreta condotta da Moro attraverso un mediatore d’eccezione, il raiss
egiziano Gamal Nasser.
Quanto il ministro fosse in ansia ce lo racconta un certo
ambasciatore Aldo Marotta, consigliere diplomatico dell’allora
vicepresidente del Consiglio, Francesco De Martino. «Moro - si legge in
una sua relazione del 27 maggio 1970, oggi consultabile sul sito storico
del Senato, sezione archivi online - ha espresso le sue preoccupazioni
per le difficoltà dei rapporti italo-libici particolarmente per quanto
riguarda la nostra comunità in Libia. Nasser ha risposto che occorre
avere pazienza perché la nuova dirigenza libica è giovane e inesperta, e
oltre che Ghe Dafi (scritto così dal dattilografo di palazzo Chigi,
malamente, in due parole: Gheddafi in Italia era un oggetto misterioso,
ndr) solo pochi altri contano. Egli parlerà a Ghe Dafi nel prossimo
vertice di Kartoum».
L’incontro tra Moro e Nasser si tiene al Cairo. In agenda: i
rapporti arabo-israeliani e la situazione palestinese. Moro, con le sue
tipiche cautele lessicali, fa capire all’interlocutore che finché
l’Egitto si appoggerà all’Urss, la crisi dell’area non avrà soluzione in
quanto parte della Guerra Fredda. Insiste perché l’Egitto si allontani
da Mosca e apra trattative dirette con Tel Aviv.
Si propone come mediatore. «Il governo di Roma è a completa
disposizione come ha già dimostrato in passato (proponendo il famoso
“calendario operativo” nell’ambito dell’Onu, iniziativa Fanfani) e
ritiene che si tratti ormai di dover iniziare qualche gesto concreto
(come il riconoscimento di Israele) per mettere in moto un meccanismo,
anche societario, che spinga Mosca, gli Stati Uniti, Israele e il Cairo a
ravvicinare le loro posizioni».
E’ in questo quadro di reciproche disponibilità, che Nasser
diventa il mediatore degli interessi italiani verso la Libia. «Nasser ha
insistito - riferisce ancora Marotta - presso il ministro
dell’Industria libico perché riceva a Tripoli, prossimamente, una nota
personalità italiana. Ha ricevuto risposta affermativa. Pensa che
l’incontro dovrebbe avvenire al più presto ed iniziare una nuova presa
di contatti italo-libici che favorirebbero la situazione. Moro ringrazia
e si dichiara d’accordo».
Fin qui, il 27 maggio, i primi passi di una trattativa che
ben presto si rivela illusoria. Marotta aggiunge a margine che «ancora
non è stato scelto il politico che dovrebbe andare in Libia perché si
attende, per via diplomatica, conferma da Tripoli». La conferma non
verrà mai. Anzi. A luglio il regime colpirà i beni degli italiani,
ordinando la confisca di immobili e terreni. Ad agosto si minacciò di
far chiudere tutti i negozi degli italiani. Forse era inevitabile che
finisse così: Gheddafi aveva preso il potere per rivoluzionare la Libia,
cacciare le truppe inglesi e americane, e cavalcare l’identità
nazionale: l’Italia occupante e gli italiani colonialisti non potevano
che diventare il suo principale bersaglio.
Secondo lo storico Arturo Varvelli, poi, che ha scritto un
acuto saggio («L’Italia e l’ascesa di Gheddafi», Baldini Castoldi Dalai
editore) basandosi su documenti della Farnesina, Moro in realtà sbagliò a
fidarsi di Nasser. Gli egiziani avevano interesse a sostituirsi agli
italiani in Libia, non a tenerli lì. Nasser avrebbe condotto quindi un
doppio gioco, facendo credere al governo di Roma di curare i nostri
interessi, invece organizzandosi per inviare a Tripoli migliaia di
tecnici egiziani disoccupati al posto dei nostri ingegneri architetti e
agronomi sul punto di essere espulsi. Probabile. E’ un fatto, però, che
finché Nasser fu in vita, la crisi italo-libica non precipitò. L’estate
del 1970 passò tra alti e bassi, roboanti dichiarazioni pubbliche e
accomodanti segnali privati.
Drammaticamente, poi, il 1° ottobre, Nasser morì per un
infarto, lasciando sconvolto l’Egitto e a lutto l’intero Medio Oriente.
Sei giorni dopo, sentendosi le mani libere, Gheddafi cacciava gli
italiani.
Francesco GRIGNETTI
La Stampa, 8 ottobre 2013

Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.
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