Conservava i segreti di Moro ma fu ucciso dai "pesciaroli"
Franco Giuseppucci, il "Fornaretto" diventato "Negro". Con la sua morte iniziò una lunga stagione di sangue
Negli anni Settanta, all'Alberone, si riunivano varie "batterie" di
rapinatori, provenienti anche dal Testaccio. Costoro affidavano le armi a
Franco Giuseppucci, che le custodiva all'interno di una roulotte,
parcheggiata al Gianicolo, che venne, però, scoperta e sequestrata dalle
forze di polizia; arrestato per questo, "er Fornaretto", che quando
avrà arricchito il suo curriculum criminale diventerà "er Negro", se
l'era cavata con qualche mese di detenzione: la roulotte aveva un vetro
rotto, difficile, dunque, stabilire chi fosse stato a nascondervi dentro
le armi. Quelle sequestrate non erano le sole che Giuseppucci
custodiva: scarcerato, patì il furto di un maggiolone Volkswagen, con
dentro un altro "borsone" di armi, affidategli da Enrico "Renatino" De
Pedis, che il ladro cedette a Emilio Castelletti, socium sceleris di
Maurizio "Crispino" Abbatino. E a quest'ultimo si rivolse er Negro, per
reclamarne la restituzione. Fu quella, per i due, l'occasione di
conoscersi e di dar vita, con Renatino, a una propria "batteria",
destinata a trasformarsi in "banda", quando decisero di sequestrare, nel
1977, il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere. Da allora, la
consorteria, che un ignoto cronista chiamò "Banda della Magliana",
divenne sempre più forte, sino a sbaragliare ogni altra formazione
criminale della Capitale. Ma trovò un punto di svolta quando er Negro,
il 13 settembre 1980, fu ucciso a Piazza San Cosimato, a Trastevere, con
un colpo di pistola, a opera di esponenti del clan rivale dei Proietti.
Costoro, originari del quartiere romano di Monteverde, titolari di
numerosi banchi del pesce e detti dunque i "pesciaroli", oltre che di
alcune case da gioco, dediti all'usura e alle sommesse clandestine,
vicini, soprattutto, a Franco Nicolini detto "Franchino er Criminale", a
seguito dell'avvento della nuova potentissima organizzazione, avevano
perso i privilegi che derivavano loro dal controllo del territorio,
sicché si vendicarono su Giuseppucci. Provocazione micidiale cui seguì
una vendetta sanguinosa: nei due anni successivi caddero sotto il piombo
della Banda Enrico "er Cane" Proietti, Orazio Benedetti, Maurizio detto
"er Pescetto" Proietti e suo fratello Mario detto "Palle d'oro".
Tutto chiaro? Non proprio. Il killer del clan Proietti eliminò sì un
elemento di primissimo piano della banda della Magliana, ma anche uno
dei testimoni più importanti dei rapporti, in occasione del sequestro di
Aldo Moro, tra delinquenza organizzata, apparati dello Stato e potere
politico. La prematura morte del Negro può collocarsi dunque all'interno
di un'inquietante sequenza di morti, violente o comunque sospette,
apertasi nel maggio 1978, legate tutte dal medesimo filo rosso. Lo
suggerisce il contenuto del borsello abbandonato su un taxi, a Roma, il
14 aprile 1979, e, in particolare, la scheda intestata "Mino Pecorelli
(da eliminare)", in cui sono indicati gli indirizzi del giornalista e
l'annotazione che avrebbe dovuto essere colpito "preferibilmente dopo le
19", nei pressi della redazione di OP; nonché l'altra importante
annotazione: "Martedì 6 marzo 1979 causa intrattenimento prolungato
presso alto ufficiale dei carabinieri, zona piazza delle Cinque lune,
l'operazione è stata rinviata", contenente, tuttavia, un'indicazione
incompleta: all'incontro fra Pecorelli e l'"alto ufficiale", cioè il
colonnello dei carabinieri Antonio Varisco, si dice fosse presente anche
l'avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, curatore fallimentare della
Banca Privata Italiana, di Michele Sindona, avvelenato con caffè al
cianuro, il 20/3/86, nel carcere di Voghera.
Ebbene. Il 9 maggio 1978 viene ucciso Aldo Moro. Il 20 marzo 1979,
viene eliminato, a Roma, il giornalista Carmine "Mino" Pecorelli. Nella
notte fra il 12 e il 13 luglio 1979, viene ucciso, a Milano, Giorgio
Ambrosoli. Tre mesi dopo, Joseph Aricò, il suo presunto killer, tenterà
di evadere da un carcere americano, scavalcando una finestra, al nono
piano. La mattina del 13 luglio 1979, sul Lungotevere, il colonnello dei
carabinieri Antonio Varisco viene freddato con modalità singolari,
rispetto a quelle solite dalle Brigate Rosse, che pure rivendicano
l'attentato. Nel settembre 1980, è la volta, come si è visto, di Franco
Giuseppucci e, nel febbraio 1981, di Nicolino Selis, ucciso dai suoi
stessi sodali: i due avevano concorso all'individuazione del covo
prigione dell'onorevole Moro. A Palermo, il 25 aprile 1981, viene ucciso
Stefano Bontade, il quale si era contrapposto a Totò Riina e a Michele
Greco, dichiarandosi favorevole all'intervento di Cosa Nostra a favore
del presidente della Democrazia Cristiana. Il 12 maggio 1981, tocca a
Salvatore Inzerillo, che del "principe di Villagrazia" aveva condiviso
la posizione. Il 21 ottobre 1981, viene ucciso, a Roma, il capitano
Antonio Straullu: oltre a occuparsi di destra eversiva, aveva firmato i
rapporti investigativi sul borsello fatto trovare il 14 aprile 1979. Nel
luglio 1982, a Milano, viene ucciso e bruciato all'interno del
portabagagli di una macchina, Antonio Varone, fratello di Francesco
Varone, che da lui autorizzato aveva collaborato con gli apparati dello
Stato alla ricerca del covo prigione dell'onorevole Moro, sentendosi
dire, a casa di Frank "tre dita" Coppola: "quell'uomo deve morire".
Sempre nell'estate del 1982, nel carcere di Nuoro, Pasquale Barra,
Vincenzo Andraus e altri cosiddetti "killer delle carceri", trucidano
Francis Turatello: aveva cercato di utilizzare a fini ricattatori quanto
fatto per l'individuazione del covo prigione dell'onorevole Moro. Il 3
settembre 1982, a Palermo, viene eliminato il generale dei carabinieri,
all'epoca prefetto della città, Carlo Alberto Dalla Chiesa e con lui la
moglie, Emanuela Setti Carraro, e l'autista, Domenico Russo. Il 29
gennaio 1983, mediante l'esplosione di un'autobomba piazzata nelle
vicinanze di Forte Braschi, sede del Sismi, viene ucciso il camorrista
cutoliano Vincenzo "'o Nirone" Casillo: a nome dei politici nazionali
con cui manteneva i contatti, aveva indotto Raffaele Cutolo a desistere
dalla ricerca del covo-prigione di Aldo Moro. Il 28 settembre 1984,
viene ucciso a Roma Antonio Giuseppe Chichiarelli, autore materiale del
falso comunicato del Lago della Duchessa del 18 aprile 1978, e di altri
interventi depistanti sugli omicidi Pecorelli e Varisco, come quello del
borsello abbandonato in taxi. Sempre nel 1984, si registra il suicidio,
a Londra, di Ugo Niutta, grand commis di Stato, già collaboratore di
Enrico Mattei e amico dell'onorevole Antonio Bisaglia, deceduto alcuni
mesi prima, cadendo da una barca. Una morte misteriosa quella del
parlamentare veneto: chiamato pesantemente in causa dal parlamentare
missino Giorgio Pisanò per i fondi elargiti a Carmine Pecorelli, proprio
mentre il direttore di O.P. stava rivelando la grande truffa dei
petroli, "13 milioni di barili di benzina spariti, mentre gli italiani
vanno a piedi e le industrie sono in piena crisi energetica", e
brutalmente scaricato dal proprio Partito, prometteva clamorose
rivelazioni; alcuni anni dopo, il fratello sacerdote, molto impegnato,
tra l'altro, a far luce sulla sua morte, sarà rinvenuto cadavere in un
laghetto alpino del Bellunese, con le tasche piene di sassi; last but
not least, il colonnello Antonio Varisco, subito dopo la morte di
Carmine Pecorelli si era dimesso dall'Arma e, nel momento in cui venne
ucciso, stava per andare a lavorare a Farmitalia, proprio con Ugo
Niutta.