
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.
giovedì 26 novembre 2009
CASO MORO: OSSERVATORE, ZACCAGNINI FECE TUTTO IL POSSIBILE
Chiamato dal suo amico Aldo Moro a quella responsabilita’, Zaccagnini, ricorda il giornale della Santa Sede, dovette affrontare ‘la prova del tragico rapimento e del crudele omicidio del leader democristiano nei tristi giorni della primavera del 1978′. ‘Resta ancora oggi impresso nella nostra memoria il suo volto sofferente di quei mesi, la voce commossa, rotta frequentemente dal singhiozzo e dal pianto’, scrive l’Osservatore affermaando che, contrariamente a quanto sostenuto in alcune ricostruzioni giornalistiche per le quali era succube della linea della fermezza imposta dal Pci, ‘con l’animo dilaniato, Zaccagnini tento’ tutto il possibile per salvare la vita all’amico fraterno, nel rispetto della legalita’ e delle istituzioni repubblicane, minacciate nella loro stessa sopravvivenza, per la prima volta dalla fine della lotta al nazifascismo, con un attacco violentissimo e inaudito’.
‘La tragedia dell’amico e sodale che aveva ispirato negli anni il suo impegno politico - sottolinea il giornale diretto dal prof. Giovanni Maria Vian - segno’ il declino della segreteria di Zaccagnini che preferi’ abbandonare la scena pubblica scegliendo di conservare unicamente l’incarico di senatore della sua Romagna. Il forte legame con Ravenna, dalla quale non volle mai allontanarsi e l’ininterrotta, fedele, collaborazione con gli arcivescovi della sua citta’ incisero - conclude l’articolo citando tra questi il card. Ersilio Tonini che per il stgertario dc propone l’avvio di un processo di beatificazione - in maniera indelebile sulla sua personalita’, impregnandone intimamente lo spirito: uno spirito politico orientato da una fede cristiana solida e genuina e maturato in circostanze storiche incomparabilmente diverse da quelle attuali’. (AGI)
martedì 17 novembre 2009
On-line l'archivio della Rivista Studium
Un'analisi delle lettere di Moro: «Due volte prigioniero», di Rocco Quaglia
Rocco Quaglia, psicoterapeuta e docente universitario a Torino, prova ora ad analizzare quelle lettere alla luce di una analisi psicologica che rivela come l’isolamento dell’esponente democristiano fosse più profondo di quanto si possa pensare. «Due volte prigioniero» è infatti il titolo di questo «ritratto psicologico di Aldo Moro nei giorni del rapimento», come recita il sottotitolo. Perché il presidente Dc era insieme recluso ed escluso dal dialogo - e dalla trattativa - che egli tentava di iniziare con i suoi compagni di partito. I quali cercarono di far passare la tesi che Moro non era in possesso della sua libera volontà e che se mai era vittima della sindrome di Stoccolma, vale a dire del fenomeno di lento scivolamento verso le ragioni dei propri carcerieri da parte di persone tenute in ostaggio.
Quaglia analizza molte lettere di Moro e arriva alla conclusione che non solo esse esprimevano la vera volontà dell’uomo politico, ma volevano dire altro rispetto a quanto sostenevano i suoi amici e alleati politici: il leader democristiano era, secondo l’autore, in possesso della sua libera volontà, e voleva non solo e non tanto salvare se stesso, ma rimettere in equilibrio quanto il suo rapimento aveva compromesso: lo Stato e la sua famiglia. Quaglia interpreta le sue richieste di ascolto delle proposte di scambio brigatiste come possibilità per la democrazia di sopravvivere senza violenti traumi (si era nel periodo in cui l’allora Partito comunista era praticamente entrato nell’aera di governo dopo decenni di opposizione talvolta durissima) e per la sua famiglia di mantenere un equilibrio che rischiava di saltare trascinandola nel dolore e nell’angoscia.
In questa prospettiva è da leggere il rivolgersi di Moro al nipotino Luca, troppo piccolo per capire quello che stava succedendo: quel bambino rappresentava la vita, quella di Moro, quella della sua famiglia e quella dello Stato che rischiava di essere spazzata via, con conseguenze sociali e familiari nefaste. Quaglia analizza psicologicamente anche i brigatisti, che, se da una parte agitarono l’immaginario di una certa area giovanile, dall’altra emergono con «le loro fragili personalità, e le loro povere storie di bambini spauriti». A più di trent’anni di distanza da quei fatti, questo libro rappresenta un contributo al tentativo di storicizzare un evento che presenta ancora lati oscuri e inquietanti.
di Marco Testi
www.romasette.it
domenica 8 novembre 2009
Il falsario di Stato: uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo di Nicola Biondo, Massimo Veneziani
Tony Chichiarelli è il protagonista e vanta due primati straordinari della nostra Storia: è autore della più grande rapina mai compiuta in Italia (35 miliardi di lire nel 1984) e del falso meglio riuscito: il comunicato n. 7 delle Brigate rosse del 18 aprile 1978, in cui si annunciava il "suicidio" di Aldo Moro, operazione ideata da Steve Pieczenik, l'esperto americano chiamato ad aiutare Cossiga a risolvere il sequestro Moro, per tendere una trappola ai brigatisti. Ma chi è Tony Chichiarelli? Solo dopo il suo omicidio nel 1984, le indagini rivelano un percorso fatto di traffici di droga e quadri falsi, ricatti e violenze, Brigate Rosse, Banda della Magliana e servizi segreti. Ma più di tutto questo, la storia affonda le sue radici nel rapimento e nella morte più misteriosa del XX secolo: quella del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro.
Edizione 1° anno 2008
Editore: Cooper - Lingua: italiano - Collana: The Cooper Files
Pagine: 199 - Traduttore:
ISBN: 8873941079 - EAN: 9788873941079