Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.

venerdì 4 ottobre 2013

Gotor: «La verità su Moro? È negli archivi della Stasi»

«L’apertura degli archivi della Germania dell’Est e della Stasi sono una svolta importante». Lo dice lo storico Miguel Gotor, senatore del Pd, spiegando il ddl presentato ieri per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul terrorismo e sull’uccisione di Aldo Moro.

Dal punto di vista istituzionale la proposta dei senatori segue quella presentata alla Camera dai capigruppo di maggioranza che, però, è monocamerale. È «bene», invece, sostiene Gotor, «che entrambi i rami del Parlamento partecipino a questo lavoro che ha lo scopo di stabilire una verità storica credibile». Miguel Gotor fa di mestiere lo storico e, negli ultimi anni, ha dedicato due importanti libri alla figura di Aldo Moro, così come esce dalla lettere che lo statista inviò dal «carcere del popolo» istituito dalle Brigate rosse.

Senatore, l’uccisione di Aldo Moro rappresenta certamente un tragico turning point nella vicenda italiana. Ma cosa e come si può arrivare a stabilire oggi?
«Approfittare della nuova legislazione sul segreto che è stata emanato nel 2007, in secondo luogo, attraverso lo strumento delle rogatorie internazionali, approfondire il tema delle ingerenze straniere, non solo sulla vicenda di Aldo Moro ma sull’insieme del fenomeno terroristico, sia nella sua variante di lotta armata che nella sua variante di stragismo dal 1969 al 1985. Sul piano internazionale sono emerse delle novità, in particolare disponibilità archivistiche nuove. Si sono aperti gli archivi della Germania Est, gli archivi della Stasi, e quelli della Repubblica Ceca. E poi anche la questione che i sommovimenti degli ultimi anni nell’area mediorientale, che potrebbero favorire l’approfondimento del cosiddetto “Lodo Moro”, ovvero dei rapporti informali fra una parte della diplomazia italiana e i palestinesi».

Cos’è il «Lodo Moro»?
«In sei lettere di Aldo Moro ci sono degli accenni, necessariamente fra le righe ma abbastanza espliciti, a scambi di prigionieri fatti in base questi accordi informali stipulati nel 1973 con il Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) che garantiva da un lato un approvvigionamento energetico di favore e, dall’altro, il passaggio delle armi provenienti dalla Germania attraverso il territorio italiano, che dovevano arrivare in Palestina, in cambio del tenere fuori l’Italia da attentati terroristici di quella matrice mediorientale. Nel 1973 c’era stato il terribile attentato all’aeroporto di Fiumicino. È molto importante approfondire il nesso nazionale-internazionale».

I 55 giorni del rapimento sono costellati da macroscopici errori e omissioni dei responsabili delle indagini...
«Resta importante, sempre in questo nesso fra ciò che avveniva in Italia e le vicende internazionali, conoscere le negligenze, le omissioni che ci sono state negli apparati nazionali».

 Quali obiettivi si deve porre la commissione?
«Un duplice obiettivo, a mio parere, che sostengo da senatore e da storico. Da un lato penso che sia un obbligo morale e civile fare il possibile per raggiungere una verità storica credibile, lo dobbiamo all’opinione pubblica, alla famiglia, alla Repubblica. C’è, poi, una seconda utilità civica: diradare le nebbie della dietrologia e provare a restituire credibilità alle istituzioni».

In 35 anni c’è stato uno stillicidio di rivelazioni, fra le ultime quella dell’artificiere che ispezionò la Renault 4. Ma, a molti anni di distanza, non risulta più difficile stabilire i fatti?
«Il fatto che siano passati tanti anni per quanto riguarda la possibilità di conoscere determinate dinamiche, la distanza temporale aiuta. Anche l’essere usciti da una logica di guerra fredda aiuta, c’è una serie di ragioni anche ideologiche che aiuta ad avere una maggiore libertà. La prima commissione parlamentare sul delitto di Aldo è del 1979. Oggi viviamo in un altro mondo, sono cambiati i presupposti ideologici e materiali, tutto questo dà una maggiore libertà».

Il macigno storico dell’uccisione di Moro pesa ancora sulla coscienza civile del Paese?
«La rimozione di questo macigno, che alcuni auspicano, è il modo migliore perché rotoli ancora. Invece lavorarci su, penso che sia utile. Ed è giusto che anche il Senato sia coinvolto».

Nel suo primo libro su Moro c’era una certa diffidenza per le testimonianze Br.
«Le testimonianze dei protagonisti vanno sempre guardate con cautela critica, tutte, non solo quelle dei brigatisti. Un conto è parlare da imputato, un altro quando sei fuori dal carcere. Un conto è quel che dice un politico in carica, un altro quando non si hanno più responsabilità».

Gli archivi della Ddr e cecoslovacchi possono rivelare qualcosa su Moro o sono da riferirsi all’insieme di quegli anni?
«È la storia della lotta armata degli anni settanta desecretata da Germania e Repubblica Ceca. C’è poi il nodo di Hiperion, la rete spionistica che aveva sede a Parigi. Si potrebbe finalmente ascoltare Steve Pieczenik, inviato dal Dipartimento di Stato Usa durante il sequestro Moro. Si tratta di uscire dalla logica dei blocchi, per capire cosa succedeva quando l’Italia era una zona calda della guerra fredda».

Jolanda Bufalini
L'Unità, 25 settembre 2013

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