La storia della Dc e' la storia di  molti ''volti'' della societa' italiana del '900. Una storia  legata nel suo evolversi alla chiesa e al mondo cattolico che  indubbiamente ha segnato, nel bene e nel male, la crescita  dell'Italia, sconomicamente, politicamente e socialmente, ma  che nella sua forma e struttura e' storia passata, legata  appunto al secolo scorso. Ma tutto e' passato? Tutto e' alle  nostre spalle? Ormai inattuale?   Sono questi gli  interrogativi di fondo della relazione ''La Dc, la Chiesa e  il mondo cattolico'' svolta stamane alla mostra ''Democrazia  cristiana per l'Italia unita'' allestita al Tempio di Adriano  (Piazza di Pietra a Roma) dal neoministro Andrea Riccardi,  storico e fondatore della Comunita' di Sant'Egidio.
  E la risposta di Riccardi che ovviamente storicizza  l'esperienza democristiana, e' che non tutto e' relegabile al  secolo trascorso: Quello che e' importante e' preservare  l'anima, il patrimonio ideale della Democrazia Cristiana. Per  questo io apprezzo tutti e dico a tutti: stiamo vicini''.
  Riccardi, che ha tratteggiato i momenti salienti della  storia della Dc, e del suo legame essenziale e irrinnciabile  col mondo cattolico, ha focalizzato l'attenzione sull'opera  di elevazione culturale e politica dei cattolici italiani da  parte della Dc e in particolare grazie all'impostazione di  laicita' e di autonomia (dalla gerarchia ecclesiastica)  voluta da Alcide De Gasperi.
  ''Un grande problema -spiega Riccardi- si parava innanzi  al fondatore della DC: il sentire politico dei cattolici. Non  che mancassero del senso di una societa' complessa, che  veniva da lontano. Ma gli antifascisti erano non tanti.
Parecchi erano divenuti afascisti. Cresciuti fuori da una  logica democratica, poco sensibili al pluralismo (che avrebbe  messo sullo stesso piano verita' e errori nella vita  pubblica), preoccupati del comunismo, i cattolici erano  incerti. Il comunismo era la preoccupazione centrale di Pio  XII, l'ultimo del Vaticano a tenere negoziati (falliti) con i  sovietici (a Berlino nel 1928 con Cicerin). Dopo la vittoria,  i regimi dell'Est mostravano un atteggiamento persecutorio  verso la Chiesa.
Il comunismo era per Pio XII un nuovo islam conquistatore e  sradicatore della religione. La scomunica dei comunisti,  comminata nel 1949 dal Sant'Uffizio, esprime la realta' di  uno scontro epocale e irriducibile. Le elezioni democratiche  non avrebbero portato il PCI al potere? Se si sfoglia ''La  Civilta' Cattolica'', organo ufficioso del Vaticano, di  orientamento per i dirigenti cattolici, si vedono molte  riserve: Stato forte e democratico vuol dire anche mettere ai  margini o fuori legge le forze che potrebbero minacciare la  democrazia.    Le masse cattoliche, plasmate dal sistema educativo e  propagandistico del regime, preoccupate dal comunismo, non  avevano una cultura politica. E' un aspetto dimenticato''.
  ''Per De Gasperi -spiega Riccardi- la DC e' decisivo e  pacificante per l'Italia l'ingresso nella democrazia di una  parte importante del paese: le masse cattoliche, la Chiesa e  le sue organizzazioni.
A questo livello opera il Sostituto Montini, non solo  formatore di leve cattoliche, ma decisivo per accreditare in  Vaticano e presso Pio XII la DC degasperiana come unico  partito dei cattolici, che puo' opporsi validamente al PCI.
Guadagna il consenso di papa Pacelli, sensibile all'unita'  cattolica''.
  In sostanza, col passare degli anni, secondo Riccardi, si  conferma per i cattolici l'esistenza di una classe dirigente  politica che si affianca alla gerarchia ecclesiastica che  fino a quel tempo era la sola a confrontarsi con lo Stato in  nome del mondo cattolico.
      ''Partito italiano, figlio della Chiesa, forza unitiva, la  DC -dice Riccardi- crea una classe dirigente politica, che si  affianca a quella ecclesiastica. Allora l'Italia ha due  classi dirigenti cattoliche: i vescovi e, contigui, i  democristiani che rivendicano autonomia nella gestione della  cosa pubblica. Questo non sara' piu' dopo il 1994, quando il  cattolicesimo italiano, non piu' politico, avra' una guida  solo ecclesiastica. La stessa cultura democristiana  conoscera' una damnatio memoriae, come la sua esperienza  politica''.
  ''I democristiani -afferma Riccardi nella sua relazione-   difendono la laicita' della politica di fronte alle autorita'  ecclesiastiche, anche se sono portatori di sentire analogo.
Se i vescovi talvolta criticano la DC, non hanno alternative  e la sua unita' e' per loro irrinunciabile. Si puo' parlare  di laicita' democristiana? Jemolo, cattolico liberale,  afferma che l'Italia ha un profilo confessionale. L'ossequio  alla Chiesa e' generale. La figura del papa ha una presa  particolare. Lo notava maliziosamente il generale De Gaulle,  dopo un'udienza con Pio XII in cui aveva perorato la causa  della monarchia italiana: restare l'unico sovrano nella  penisola non spiaceva al papa. L'esistenza di un grande  partito cattolico che permea lo Stato e' infatti una grande  garanzia per la Santa Sede, ben piu' dei Patti lateranensi.
C'e' una confessionalita' della Repubblica che riconosce come  il cattolicesimo sia una realta' particolare italiana. Ma  c'e' anche una laicita' democristiana che rivendica la  responsabilita' politica rispetto al mondo ecclesiastico. I  democristiani garantiscono la Chiesa, questa li vota per una  politica che loro  autonomamente decidono, in un'Italia laica  e repubblicana che e' anche nazione cattolica.
La DC degli 'anni dell'onnipotenza' -prosegue Riccardi  citando Mario Rossi- e' parte del mondo cattolico. Un grande  blocco, mai monolitico, perche' segnato da storie e  spiritualita' differenti,  da interessi e ambienti diversi.
Tuttavia blocco unitario: nella Chiesa, ma anche nella DC. De  Gasperi non vuole un partito pesante, ma uno scambio vitale  con il mondo cattolico. Il popolo cattolico, a livello  locale, ha intimita' di vita e  interessi con i  democristiani. Partito di cattolici differenti: popolari come  Scelba o Piccioni, riformatori come Dossetti e Lazzati,  utopisti come La Pira, antifascisti come Taviani,  realizzatori come Fanfani, visionari come Moro, un  ''cardinale esterno'' come Andreotti, uomo del Vaticano... e  tanti altri. Davvero un partito italiano, quindi cattolico e  complesso''.
  Nella sua esposizione Riccardi, dopo De Gasperi (e  Montini) si sofferma su un altro cardine della storia dc,  Aldo Moro portatore di una evoluzione politica stroncata con  la sua uccisione. Un Moro che aveva avvertito il mutare della  storia e la perdita di passo (culturale e politico) del  partito a cui meditava di porre rimedio con un'evoluzione  coraggiosa in termini istituzionali e di collaborazione  politica con quelli che erano fino ad allora stati definiti  piu' nemici che avversari.
  ''Moro -spiega Riccardi- sente arrivare una  delegittimazione per un partito pur forte del potere: la DC  e' logorata -dice- anche da una stampa ''unanime nel  denigrare e dichiarar(la) decaduta dal trono''. Unita' non e'  parola di moda come testimonianza e autenticita'. Tramonta la  cultura cattolica politica di sintesi emersa nel dopoguerra.
Almeno per parte dei cattolici. La ''rivoluzione cattolica''  ha delegittimato la DC? Sarebbe semplicistico, ma dice  qualcosa di vero. Peraltro la DC, per il voto degli elettori,  resta decisiva nell'Italia politica degli anni Ottanta. Ma il  mondo cattolico cerca per altre strade, vicine e lontane, con  una sua un'iniziativa diretta nella societa'. Oltre la DC.
Qualche volta contro''.
  ''Eppure l'intimita' con il mondo cattolico per la DC, in  quegli anni forte e potente, e' importante, perche' il  partito non e' solo potere, ma cultura e ideali. Malgrado  limiti e errori, questa politica democristiana ha bisogno di  cultura e anima. Laicita' non e' autosufficienza. Aldo Moro  -sostiene Riccardi- e' figura centrale nella sua paziente  strategia di attenzione alla complessita' esuberante del  cattolicesimo. E' presente in varie occasioni cattoliche,  anche informali, curioso del nuovo. Aveva difeso l'autonomia  laica della politica, ma non si rassegna a una freddezza  cattolica. Lui, che per i comunicati delle BR era ''il  maggiore responsabile... della controrivoluzione armata  scatenata dalla DC'', e' un fucino, un maturo politico che  negli anni Settanta frequenta le realta' giovanili  cattoliche, quella di suo figlio Febbraio '74, CL (al  Palalido nel 1973) o si affaccia a Sant'Egidio.
I non lunghi anni della solidarieta' nazionale, segnati dal  terrorismo, mostrano come le forze che per trent'anni si  erano combattute possono collaborare insieme a livello di  governo. Non sono coabitazioni forzate, ma passaggi in cui  prevale la responsabilita' nazionale sulla creativita' di  parte. Cosi' la sente Moro, appoggiato da Paolo VI, facendo  prevalere una cultura di sintesi e collaborazione: ''gli  strumenti adoperati per risolvere le crisi che spesso ci  lasciavano tanti margini, non servono piu''' -dice nel  1978''.
  ''Dopo Moro, viene la morte di Paolo VI e l'elezione di un  papa non italiano. Giovanni Paolo II non aveva intimita' con  la mediazione democristiana, voleva una ripresa di presenza  evangelizzante e sociale. Insisteva pero' sul fatto che la  fede si deve fare anche cultura. Il mondo cattolico -dice  Riccardi- procede con percorsi ecclesiali e sociali, senza  piu' identificazione con il partito. Tante storie, sogni,  realizzazioni. Dossetti, negli anni Novanta, scrive che la DC  e' ormai un irripetibile: 'una volta in tutto l'orizzonte  sidereo si e' presentata un'occasione che non si presentera'  mai piu''''.
  ''Aveva ragione: mai le occasioni si ripetono. Ma le  storie non si annullano. Oggi -conclude Riccardi- lo capiamo  meglio fuori dal clima di damnatio memoriae degli anni  Novanta, tipico di un'Italia che crede che le svolte debbano  essere palingenetiche e traumatiche. Troppa cultura politica  e' stata bruciata in questi anni, magari per paura delle  ideologie. Troppo la politica e' stata solo emozioni,  emotivita', contrapposizione personale. Le emozioni sembrano  coinvolgere, ma poi lasciano sola la gente nel quotidiano.
Senza storia siamo perduti in questo mondo globale. Ritornare  sulla storia democristiana non e' l'ora della nostalgia,  bensi' la riaffermazione del valore di una cultura politica  pensata, vissuta, confrontata con le altre. Ben ha scritto  Giovagnoli: la cultura democristiana e' un mondo di pensieri  e esperienze tra Chiesa cattolica e identita' italiana. Di  questo patrimonio, Moro, nel suo ultimo discorso, dice come  in un testamento: ''Quello che e' importante e' preservare  l'anima, la fisionomia, il patrimonio ideale della democrazia  cristiana... Per questo io apprezzo tutti e dico a tutti:  stiamo vicini''.
da www.asca.it
 
Nell'oceano di Internet sono centinaia i siti che si occupano dell'affaire Moro, come è stato definito da Sciascia. Il mio blog si presenta come un progetto diverso e più ambizioso: contribuire a ricordare la figura di Aldo Moro in tutti i suoi aspetti, così come avrebbe desiderato fare il mio amico Franco Tritto (a cui il sito è certamente dedicato). Moro è stato un grande statista nella vita politica di questo paese, un grande professore universitario amatissimo dai suoi studenti, un grande uomo nella vita quotidiana e familiare. Di tutti questi aspetti cercheremo di dare conto. Senza naturalmente dimenticare la sua tragica fine che ha rappresentato uno spartiacque nella nostra storia segnando un'epoca e facendo "le fondamenta della vita tremare sotto i nostri piedi".
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.
Ecco perchè quel trauma ci perseguita e ci perseguiterà per tutti i nostri giorni.
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1 commento:
Gentilissimo Signor Presidente Giulio Andreotti, i miei vivi auguri per i suoi 90 anni.
Ho lottato, seguendo il Sindaco di Firenze Giorgio La Pira, per fare approvare l'I.V.A.,Imposta sul Valore Aggiunto non appaltabile, al posto dell'I.C.O. che sarebbe stata invece appaltata dalle Soc. Ingic, Trezza, Cremonini, Sari, ecc. così come già lo erano le Imposte di Consumo, o Dazio. Che dovesse esserci l'I.C.O. al posto dell'I.V.A. basta andarsi a leggere il verbale dell'Assemblea dell'ANCI tenutasi a Viareggio nel 1972. L'accertamento e la riscossione delle Imposte di Consumo (Dazio) a Firenze e a Palermo erano appaltate dalla Soc. Trezza spa con sede a Verona. A Firenze era direttore il dott. Prospero Aste e a Palermo il dott. Landolina. Questa battaglia contro gli appalti e le tangenti è stata vinta per l'intervento non solo di La Pira ma, soprattotto, di Mons. Enrico Bartoletti e di Aldo Moro. Non so lei, allora, da che parte stava. Ma se l'IVA ha trionfato sull'ICO, non altrettanto le mie scoperte rivoluzionarie su Dante. Lei mi scrisse che si sarebbe attivato per farmi parlare alla CASA DI DANTE in Roma, però si vede che il Presidente ha minore potere del Direttore. E pensare che la divulgazione delle mie scoperte è parimenti importante che la vittoria dell'IVA sull'ICO. F.to Giovangualberto Ceri.
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